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The New Gladiators |
Max il Grande |
MAX IL GRANDE 2009 |
Max era nudo davanti alla finestra del resort. Si massaggiò il polso sinistro e guardò i primi raggi di sole che salivano all’orizzonte di Duriam. I suoi occhi erano pieni di tristezza e nostalgia, ma se avesse dovuto spiegarne il perché non avrebbe avuto risposte. Sentì il corpo di Layla muoversi tra le lenzuola e si voltò a guardarla. Lei ricambiò sorridente. “Scusa”, esordì cercando di ricambiare il suo sorriso, “non volevo svegliarti.” Lei scosse leggermente la testa e lo seguì con lo sguardo. Max prese a vestirsi. “Vuoi che chieda a Gunt di farti venire anche questa notte?” “Ne sarei felice... non mi capita spesso di concedere i miei servigi a persone gentili.” “Già!... Immagino quali vessazioni subisci abitualmente. Mi dispiace”, disse sinceramente. “Perché? Non è colpa tua se sono una schiava e sono costretta a prostituirmi.” Lui la guardò intensamente, “...e che vorrei fare qualcosa per te.” “Max il grande... ora comprendo perché ti chiamano così.” “No... non è per il mio cuore, ma per le vittorie nell’arena. Questa sera conquisterò la mia libertà.” “Non sembri felice”, concluse poggiandogli una mano sulla spalla. Max non rispose, si alzò, prese dalla sedia la giacca e si diresse alla porta. “Resta pure quanto vuoi. Chiedi che ti portino la colazione. Ci vediamo questa sera.” E uscì. Le voci provenienti dall’arena sembravano crescere di attimo in attimo. Le due squadre di guerrieri si preparavano per conquistare gli animi e la gloria, nonché la propria libertà. Quella sera non solo Max avrebbe lottato per ottenere tale pregio, ma anche Sobiek della squadra avversaria. Non c’era un numero fisso di scontri da dover vincere per conquistare la propria libertà, dipendeva da quanto il padrone del circo aveva pagato e investito su un dato guerriero. Circo è il nome con cui vengono designate le compagnie di guerrieri da arene. Max era al suo quarantesimo scontro. Una vera rarità, considerando la durezza e la difficoltà di queste mini-battaglie. Il suo avversario era al trentottesimo scontro. Un vero mastodonte, un caterpillar senza freni. Sobiek era alto quasi due metri e mezzo, aveva bicipiti grossi come cocomeri e le sue mani strette a pugno erano della stessa misura di una testa umana. Al suo confronto Max sarebbe sembrato un nano, nonostante il suo metro e novanta e il corpo scultoreo. Di certo avrebbe puntato sull’agilità e l’astuzia, guardandosi bene dall'ingaggiare un corpo a corpo con quella montagna vivente. Era in piedi accanto al cancello che immetteva nell’arena e si stringeva le polsiere. Il polso sinistro gli dava ancora dei fastidi; erano passati due giorni dal corpo a corpo con Volthan, ma la torsione innaturale che gli aveva procurato l’aveva segnato. Si voltò vero i suoi e vide che Gunt aveva messo in squadra Nabithy, l’unica ragazza della scuderia. Lei gli passò un multiarma e lui le sorrise. “Grazie!” Lei si strinse nelle spalle e andò a prendere le proprie granate. Dall’arena arrivò un boato di voci festanti, i giochi avevano inizio. I due portali laterali dell’arena si aprirono con fragore lasciando entrare le due squadre. Il palcoscenico di guerra riproduceva parte dell’antica città di Hattah dopo la distruzione da parte delle squadre imperiali. A destra e a sinistra delle entrate erano poste su delle alture artificiali due templi, le case basi che le squadre avrebbero dovuto conquistare. Il presentatore, o meglio il narratore, presentò i membri di entrambe le squadre cominciando da quella locale: “Alla mia destra la squadra di casa, che vestirà il colore rosso.” Un boato si alzò in onore dei guerrieri rossi. E un hurrà per ogni nome pronunciato, a partire da quello del caposquadra: Sobiek. “Alla mia sinistra la squadra ospite, che vestirà il colore blu.” E ancora la folla urlò i suoi ‘evviva’ e ‘hurrà’, soprattutto quando fu pronunciato il nome del caposquadra blu: “Ma-ax.... il gra-a-a-a-de-e-e-e!!” “Kaim, tu va al tempio e proteggilo, Borg e Shiun, voi cercate di trattenere a valle gli avversari, io e Nabithy tenteremo la presa del tempio nemico”, sussurrò a mezza voce alla squadra, mentre il narratore procedeva nell’elenco delle vittorie delle due squadre.
Il gong di inizio tuonò e rapidi come felini i guerrieri di entrambe le squadre si sparpagliarono per l’arena seguiti dai cab, le telecamere robotiche a forma sferica che inviavano le immagini ai grandi tabelloni e ai monitor degli spettatori, cosicché tutti potevano seguire le imprese dei propri beniamini e vedere, a volte, anche la morte degli stessi senza perdersi nessuno schizzo di sangue. Generalmente le squadre usavano dividersi e combattere singolarmente, impegnandosi tutti nella conquista del tempio avversario; data la mole degli avversari, Max pensò bene di cambiare strategia, in modo che a parte Kaim, nessuno si trovasse da solo ad affrontare il nemico, anche perché, se giocata bene, questa tattica avrebbe garantito la loro vittoria prima che un qualsiasi avversario si fosse avvicinato a Kaim. Sobiek e i suoi non si resero subito conto dello schieramento avversario e per qualche istante rimasero spiazzati. Questo facilitò la squadra blu: Kaim raggiunse subito la propria casa base e Max e Nabithy si trovarono in poco tempo a metà strada dal tempio dei rossi. Sobiek, che in un primo momento era diretto come un treno verso la collina avversaria, tornò a grandi balzi verso il proprio territorio, lanciando granate contro Max e la sua compagna di squadra. Nabithy saltò a destra giusto in tempo per mettersi al riparo da una bordata di Sobiek, mentre Thrent, appoggiando il suo caposquadra, sparò un raggio multifrequenza contro Max. Il colpo fu tale che Max fu sbalzato di una decina di metri lasciandolo precipitare in malo modo verso la scarpata. Sobiek si accanì su Nabithy correndo verso di lei e continuando a lanciare granate. Nel frattempo, Borg e Shiun erano impegnati a sparare contro Buz, Komhet e Sudha, che tentavano a ogni costo di superarli per raggiungere la vetta del loro colle. Max scosse la testa cercando di riaversi e a fatica si alzò, mentre un altro raggio multifrequenza lo sfiorava sulla sinistra. Con uno slancio repentino, Max si gettò sulla destra dirigendo un colpo fulminante contro Thrent che si schiantò al suolo con un urlo agghiacciante. La voce del narratore comunicò il decesso del guerriero. Una scheggia di granata colpì l’omero di Nabithy che cadde rovinosamente dando la possibilità a Sobiek di raggiungerla. Con sforzo sovrumano Max diresse un colpo fulminante contro Sobiek, ma questi si scansò come avvertito da una forza oscura e il raggiò colpì una parete che cadde su Nabithy. Sobiek si scagliò, allora, contro Max scendendo come un macigno dalla collina per ingaggiare un corpo a corpo, ma Max ricaricò il suo multiarma e sparò. Ancora una volta Sobiek riuscì a evitare il colpo e con un balzo atterrò Max. Il narratore annunciò la morte di Komhet e il ritiro di Shiun, che ferito gravemente riuscì a raggiungere un’aria di sosta, luogo in cui si poteva godere di immunità. A questo punto Kaim scese un po’ a valle per dare manforte a Borg. Nabithy, nonostante ferita e sommersa da mattoni e calcinacci, emerse dalle macerie e proseguì la sua scalata verso la casa base dei rossi. Intanto, Max era in difficoltà: Sobiek lo massacrava di pugni e calci allo stomaco, non gli dava respiro. Per quanto Max provasse a risollevarsi per opporre resistenza, l’avversario riusciva a rimetterlo K.O. Ogni colpo era sempre più poderoso, ma meno doloroso, ormai era divenuto insensibile, riuscì ad afferrare lo shaqquo, il corto machete che portava legato alla coscia destra, e lo brandì sfiorando il grosso avambraccio di Sobiek, graffiandogli la polsiera sinistra. Sobiek rise divertito e senza alcun timore di quell’arma tagliente, con un gesto rapido come l’attacco di un cobra, afferrò Max per la gola sollevandolo da terra e stringendogli la giugulare. Lo shaqquo cadde a terrà. Un gong risuonò nell’arena, seguito da urla festanti. “FINE-E-E... DEI GIO-CHI-I-I-I!” annunciò il narratore. Nabithy aveva issato il vessillo blu sul tempio rosso. Max aveva le mani sull’enorme polso di Sobiek e gli occhi stavano per schizzargli via. Il gigante avversario non aveva intenzione di mollare la presa. Perdere quella battaglia significava rinviare ancora di un incontro la propria libertà. Non poteva perdonargli questa sconfitta, ma non poteva neanche uccidere un “uomo libero”, perché questo era Max ora: libero. |
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