L'America sempre tanto aperta e culturalmente avanzata si confronta con una
delle tematiche borderline più delicate, quella della transessualità. La
Felicity Hoffmann delle Desperate Housewives
interpreta il ruolo di un transgender che scopre di essere padre.
di Imelda Antonicelli
“Non è un film su quello che hai sotto la gonna”, ha dichiarato Duncan Tucker, il regista.
Ed
è proprio così.
Il film trae la sua essenza dallo spirito delle persone di cui racconta. È
un'opera sul ritorno alla propria famiglia, alla propria comunità, a se stessi.
Il regista, servendosi di un road movie, fa muovere i personaggi sullo
sfondo di un’America fatta da tipici americani, con pregiudizi, difetti e
pregi.
Bree (Felicity Huffman), un
transessuale donna, elegante e colto, alla vigilia della sua operazione finale,
viene a scoprire di essere padre. La sua terapeuta gli consiglia di andare a New
York a conoscere suo figlio. Il ragazzo, Toby (Kevin Zegers), è un turbolento e
si trova presso la centrale di polizia per una questione di droga. Scambiata
Bree per una missionaria, la segue a Los Angeles nell’intento di ritrovare il
padre. Bree non ha il coraggio di dirgli la verità e approfitta
dell’equivoco.
Bree e Toby si avventurano nei paesaggi inesplorati delle loro
vite man mano che affrontano il viaggio dal nord-est al sud-ovest degli Stati
Uniti, quale drammatizzazione del proprio viaggio interiore.
La storia di Transamerica è al tempo stesso universale e rivoluzionaria. E’ strano pensare che tutti gli esseri umani ambiscano alle stesse cose: famiglia, amore, casa. Anche e soprattutto al di fuori di ciò che comunemente non è inteso come "normale".
Il protagonista del film è un transessuale, eppure il film non è incentrato
sulla transessualità. E’ una classica storia genitore/figlio/legami familiari,
ma le vite dei protagonisti sono tutt’altro che consuete.
Purtroppo l’Associazione Psichiatrica Americana include il
disturbo dell’identità biologica tra i disturbi mentali, dando così legittimità
alla transessualità e al contempo, ritenendo i transessuali malati mentali. Ma
non è così, la transessualità è uno stato biologico, non psicologico.
Eppure,
molti confondono alcune tendenze sessuali (quali l’essere transessuale, appunto,
o semplicemente omosessuale) come una deviazione pari alla pedofilia, alla
zoofilia, ecc… Ma l’identità sessuale, non ha a che vedere con le preferenze
sessuali.
Il film non va nello specifico, vuole solo mostrare l’evolversi di due
individui che hanno in comune la propria solitudine e un certo sospetto verso il
resto del mondo.
Bree e Toby imparano a conoscersi meglio e a godere della
reciproca compagnia man mano che il viaggio precede. I due imparano a piacersi
ed accettarsi. Entrambi si sono chiusi in sé per non essere feriti ancora da
quel mondo che li ha maltrattati e stigmatizzati. Il conflitto generato dalle
differenze, ma anche le inattese similitudini e i compromessi cui giungono, sono
l’asse portante del loro viaggio.
Felicity Huffman (Bree) è straordinaria nella sua interpretazione e la scelta
di un’attrice che faccia un trans donna è stata una scelta felice, non
tramutando così, come spesso accade ad Hollywood, la figura del transessuale in
una macchietta. La Hoffman è una delle rare artiste che hanno dimostrato una
grande versatilità nei ruoli interpretati. In Transamerica regge l’intero
film, con una trionfale trasformazione, dimostrando come un attore possa
annullarsi per appropriarsi delle sembianze e della psicologia di un’altra
persona.
Anche il giovane Kevin Zegers (Toby) ha dimostrato di essere
all’altezza del ruolo, dando vita ad un personaggio fragile e affascinante. Il
giovane attore (qui in Italia alquanto sconosciuto) ha trovato un giusto
equilibrio tra la professionalità di un interprete navigato e la spontaneità
dell’esordiente.
Il film è gradevole, piacevole e, benché tratti i drammi quotidiani,
divertente.