Immaginate che il vostro computer si connetta con un mondo che non sia il vostro. Ipotizzate che quel mondo usi le nuove tecnologie per interagire con voi. Ora supponete che la connessione non possa più interrompersi: quando usate il telefono cellulare, scrivete una e-mail, vi connettete ad internet, essi entrano, infettano ogni vostro apparecchio, fino a prendersi “la vita”, la vostra vita.
Dopo il suicidio di Josh, il suo ragazzo, Mattie (Kristen Bell) decide di scoprirne le cause. Insieme ad alcuni amici, scopre che Josh aveva inconsapevolmente piratato una strana frequenza che trasmette filmati di morti per suicidio, aprendo così un passaggio a qualcosa di malvagio in grado di propagarsi come un virus telematico, con effetti mortali su chiunque ne venga in contatto. L’unica cosa che sembra tenere lontano gli esseri, che sembrano animarsi ed aggirarsi nel mondo reale, è, inspiegabilmente, del nastro adesivo rosso. In breve tempo il mondo viene invaso da queste entità, che si nutrono dell’energia vitale degli uomini, riducendoli in cenere. Per Mattie e i suoi amici comincia una corsa contro il tempo per trovare un anti-virus che possa porre fine alla minaccia soprannaturale.
Kristen Bell (eroina della serie Veronica Mars), Christina Miliam (famosa cantante pop) e Ian Somerhalder (uno dei bellocci di Lost), sono i protagonisti di Pulse, diretto da Jim Sonzero e liberamente tratto da Kairo di Kiyoshi Kurosawa.
Negli ultimi anni, i film ispirati agli horror orientali hanno catturato l’attenzione del pubblico: The Eye, The Ring, The Grudge, ne sono un esempio. Tutti hanno riscosso, se non successo, almeno l’interesse dello spettatore occidentale e di sicuro quello di Hollywood che li ha spesso riproposti in un stile proprio.
Pulse, è appunto, basato sul film horror del 2001 Kairo, il
quale si snoda intorno ad un gruppo di adolescenti giapponesi che investigano su
una serie di suicidi collegati ad una webcam che permette di interagire con i
morti.
Se pur con l’intento di preservare il senso di terrore del film di
Kurosawa, la versione americana supera il concept originale, finendo con il
renderlo noioso e per nulla spaventoso. Ma al pari di Kairo, si rifà ai
pericoli latenti del nostro stile di vita tecnologico, che marcia con un ritmo
travolgente tra avanguardie satellitari e meraviglie digitali.
Il cinema asiatico ha imparato a far colpo sullo spettatore portando sullo
schermo le paure interne. Dopo anni in cui i mostri come Godzilla invadevano le
città, gli autori dagli occhi a mandorla hanno capito che le immagini più
terribili sono quelle create dalla nostra mente. Gli americani ed il cinema
occidentale in genere l’hanno compreso solo ora, limitandosi, però, non a creare
nuove paure, ma a scopiazzare, il più delle volte in malo modo, quelle dei
lontani cugini d’oriente.